Perché non tutti ricordano i sogni al risveglio?
L'attività onirica nasconde, da sempre, enigmi e misteri irrisolti. Ma ci fa bene: su questo non c'è dubbio. Ora un nuovo studio indaga il motivo per il quale non sempre abbiamo memoria di ciò che abbiamo vissuto nel sonno. Spoiler: dipende (anche) dal nostro atteggiamento
Se ci chiudono la porta dei sogni siamo già morti, ha detto Roberto Benigni. Perché sognare serve, eccome. Aiuta a ridurre i sintomi d'ansia e aumentare la fiducia in sé, consente di esplorare le situazioni con un certo grado di controllo, consentendoci di simulare possibilità reali, ancorché in modo inconscio, senza per questo rischiare l'incolumità. Ancora: aiuta a consolidare la memoria e, non ultimo, può contribuire a un risveglio più energetico e positivo.
Ma c'è ancora molto, dell'attività onirica, di quello che avviene nel nostro cervello durante la celebre frase REM (testualmente Rapid Eye Movement) che non ci è chiaro. Perché, per esempio, non tutti ricordiamo vividamente i sogni al risveglio? E perché noi stessi ne abbiamo traccia solo alcune volte? Interrogativi innegabilmente affascinanti, sin qui senza fatalmente risposta.
Anzitutto, si chiama richiamo dei sogni la capacità di svegliarsi ricordando, in maniera più o meno distinta, le vicende accadute nel sonno durante la notte: un tema complesso, sul quale si sono ora concentrati i ricercatori della Imt School for Advanced Studies Lucca dando vita a un lavoro appena pubblicato su Communications Psychology in grado di far luce su uno dei misteri più affascinanti della nostra psiche, e sui meccanismi che sottende. In precedenza alcuni studi avevano evidenziato come donne, giovani o persone che hanno la tendenza a sognare a occhi aperti ricordano meglio i sogni notturni; secondo altre ricerche, invece, sono specifici tratti della personalità o determinate facoltà cognitive a favorire, per l'appunto, il richiamo dei sogni.
Quanto basta per approfondire un tema sul quale in epoca pandemica si sono avviati nuovi intriganti studi. Tra questi, proprio lo studio condotto in collaborazione con l'Università di Camerino dal 2020 al 2024 con oltre 200 partecipanti, di età compresa tra 18 e 70 anni, di cui sono stati registrati quotidianamente i sogni per 15 giorni. Accadeva, semplicemente, che ciascun partecipante dotato di un registratore, al risveglio, raccontasse le esperienze avute nel sonno, le sensazioni e impressioni, in primis la percezione di avere sognato o meno, quindi i contenuti del sogno. Contestualmente, i dati sul sonno e quelli cognitivi sono stati monitorati tramite dispositivi indossabili e test psicometrici.
Per tutta la durata dello studio, i partecipanti hanno anche indossato un actigrafo, un orologio da polso per monitorare la durata, l'efficienza e i disturbi del sonno
All'inizio e alla fine del periodo di registrazione dei sogni, i partecipanti sono stati sottoposti a test psicologici e questionari che misurano vari fattori, dai livelli di ansia all'interesse per i sogni, dalla propensione a divagare con la mente (la tendenza a spostare frequentemente l'attenzione dal compito in corso verso pensieri non correlati o riflessioni interne), fino ai test di memoria e attenzione selettiva. Il ricordo dei sogni ha mostrato una notevole variabilità tra gli individui, influenzata da molteplici fattori.
Per esempio persone con un atteggiamento positivo verso i sogni e una tendenza a divagare con la mente avevano significativamente più probabilità di ricordarli. Partecipanti più giovani sono risultati maggiormente in grado di ricordare i sogni, rispetto a persone più anziane che spesso sperimentano 'sogni bianchi', cioe' la sensazione di aver sognato senza ricordare alcun dettaglio.
Ciò suggerisce cambiamenti correlati all'età dei processi di memoria durante il sonno e, inoltre, lo studio ha messo in evidenza variazioni stagionali, con probabilità inferiori di ricordare i sogni durante l'inverno rispetto alla primavera, suggerendo la potenziale influenza di fattori ambientali o circadiani.
"I nostri dati dimostrerebbero che il ricordo dei sogni è un riflesso anche dell'interazione di atteggiamenti personali, tratti cognitivi e dinamiche del sonno - spiega l'autore principale Giulio Bernardi, professore di psicologia generale presso la Imt School - queste intuizioni approfondiscono la nostra comprensione dei meccanismi alla base del sogno ed hanno implicazioni per esplorare il ruolo dei sogni nella salute mentale e studiare la coscienza umana".
"I dati raccolti da questo progetto serviranno come riferimento per futuri confronti con popolazioni cliniche - aggiunge Valentina Elce, ricercatrice presso la Imt School e prima autrice dello studio - permettendo di far progredire la ricerca sulle alterazioni patologiche del sogno e sul loro potenziale valore prognostico e diagnostico"