Qualcuno ha detto overtourism? Così cambiano le nostre città
È il fenomeno del momento. Mette in crisi i luoghi che abitiamo, fa infuriare i residenti, polarizza l’opinione pubblica. Archiviata l’estate horribilis, proviamo a fare chiarezza. Partendo da un assunto: non smetteremo (per fortuna) di viaggiare
L’ultima frontiera? Le Tre Cime di Lavaredo, con lo sfregio di un writer su un masso di dolomia che già portava impresse le tracce di un dinosauro del Triassico. “Tourist go home”, ci hanno scritto sopra: così la gettonatissima frase-mantra che interpreta un sentimento negativo sempre più diffuso nei confronti del turismo di massa, è fatalmente arrivata sin lassù, dopo essere comparsa un po’ dovunque, da Barcellona a Napoli, che proprio in questi giorni assiste all'orda barbarica pre-natalizia. Riassumendo un imperativo categorico che è, insieme, l’insofferenza dei residenti storici di città, luoghi e borghi che s’inchinano ai flussi, perdendo la loro identità, e la contrarietà dei viaggiatori, animati da un approccio consapevole e sostenibile, più maturo – si direbbe – rispetto a quello delle grandi folle. E la parola “overtourism” vive, del resto, un’ondata di popolarità senza precedenti: l’ultima, lunga e sgangherata estate ha, in fondo, fatto traboccare un vaso che barcollava già da tempo. La pressione del turismo di massa su molte destinazioni, da Capri alle Cinque Terre, da Santorini alle Canarie, ha sovraccaricato, come previsto, le infrastrutture, impattato sulle risorse naturali e, inevitabilmente, inciso negativamente sulla qualità della vita degli abitanti.
E allora la domanda, sempre più obbligata, riguarda proprio la sostenibilità – in un futuro ormai prossimo – di flussi di persone così numericamente importanti, concentrate nei luoghi più “in”.
Un numero su tutti, che fotografa il fenomeno su scala nazionale: il 70% dei turisti stranieri che scelgono l’Italia ogni anno si concentra sull’1% del territorio, prediligendo le stesse mete, città d’arte in primis. A Venezia, nei periodi più intensi, si contano 73,8 turisti per ogni cittadino residente. Una questione di sopravvivenza, oltre che di identità. Protestano così i cittadini, costretti da una galoppante gentrificazione a lasciare i centri storici, che - fatalmente - si impoveriscono.
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Ma non è utile, ancor prima di agire, comprendere in fondo il problema? “Le scritte ‘Tourist go home’ sono il grido di una comunità stanca e il sintomo di un malessere che va ascoltato, ma che non deve diventare una barriera. – spiega Ruben Santopietro, tra i principali esperti nazionali in marketing territoriale, ceo di VisitItaly.eu, la principale piattaforma indipendente per la promozione dell’Italia a livello globale - Ignorare questi segnali significa solo aggravare il problema, ma la risposta non può essere il rifiuto del turismo. Il turismo, se gestito bene, deve essere una forza che migliora il mondo, non solo per chi viaggia, ma soprattutto per le comunità che accolgono.

Certo, strategie di gestione più intelligenti: destagionalizzare i flussi, promuovere le aree meno conosciute, evitare che intere regioni diventino 'parchi a tema' per i visitatori (si parla, non casualmente, di ‘disneyzzazione’ dei centri storici, con riferimento per esempio ai Quartieri Spagnoli di Napoli, ndr), promuovere in generale una gestione sostenibile, in cui il turismo generi valore per le comunità locali, senza distruggere ciò che rende le nostre città uniche. Dobbiamo, insomma, ripensare il modello di turismo in Italia, o rischiamo che episodi come questo diventino la norma. Perché – aggiunge - la vera domanda è: vogliamo davvero che episodi di turismofobia diventino la regola? O vogliamo costruire un futuro dove il turismo crea valore, non fratture?”.
L'inchiesta integrale sull'overtourism, con un intervento dell'antropologo Giovanni Gugg, è sul numero 3 di GrandTour
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