Overtourism, da Santorini a Capri: la folle estate che ci ha costretto a ripensare l'idea di viaggio
Spiagge off-limits, orde maleducate e disattente di visitatori. Nei giorni più caldi dell'anno, dopo le proteste alle Baleari e a Barcellona, rilanciamo un interrogativo irrinunciabile: come salvare l'esperienza dell'esplorazione dei luoghi, senza aggredirli, impoverirli, globalizzarli?
Vade retro, turisti. Sempre più fragile l’equilibrio tra l’identità dei luoghi, e dei popoli che li abitano, e l’onda barbarica di un turismo scomposto e spesso maleducato, favorito dalla voracità di una certa imprenditoria – quella del tutto e subito – disposta a svendere borghi e città al dio denaro.
Del resto, il numero di persone che viaggiano nel mondo supera 1,7 miliardi ogni anno: l'Organizzazione Mondiale del Turismo prevede che nel 2030 il flusso supererà i 2 miliardi. La crescita della cosiddetta classe media ha reso il viaggio più accessibile a più persone.
La parola chiave è overtourism, espressione ormai sempre più diffusa: interessante la definizione di Harold Goodwin nel suo lavoro “The Challenge of Overtourism”, edito nel 2017, quando il problema era già diagnosticato. Secondo Goodwin, l’overtourism si manifesta quando sia residenti che visitatori percepiscono un afflusso eccessivo di turisti, al punto da compromettere la qualità della vita e dell’esperienza. Noi aggiungeremmo un dettaglio non marginale: al punto, anche, da contaminare l'identità del luogo. Rendendolo sempre meno distinguibile, sempre più turistificato, sempre più globale.
Rischi fatali, fotografati dai numeri: il 70% dei turisti stranieri che scelgono l’Italia ogni anno si concentra sull’1% del territorio, prediligendo le stesse mete, città d’arte in primis.
Di overtourism ci siamo occupati nel primo numero di “Grand Tour”, raccontando le trasformazioni di Napoli. Nel frattempo, il tema è diventato sempre più cruciale.
A inizio luglio, a Barcellona, una folla di residenti ha spruzzato acqua sui turisti seduti nei ristoranti: duemila persone sono scese in piazza chiedendo di limitare i flussi turistici e mostrando striscioni eloquenti (“Barcellona non è in vendita”, “Turisti a casa”), presidiando i luoghi più turistificati.
Come cambiano le nostre città
Non è solo una questione di difesa dell’identità: è diventata, anche, una questione di sopravvivenza. A Venezia si contano 73,8 turisti per ogni cittadino residente. Negli ultimi 10 anni a Barcellona il costo delle case è aumento del 68%. E - qui come a Madrid - nell’ultimo anno gli affitti sono aumentati del 18%. Il perché è presto detto: l’appeal dei fitti brevi trasforma gli alloggi in potenziali bed and breakfast. Anche per questo dal 2028 entrerà una in vigore una legge che vieterà gli affitti brevi. Ne chiedono una anche città come Firenze, Venezia, Roma, Napoli, che provano a contenere i flussi e difendere i centri storici. Per ora, poco efficacemente.
Hanno protestato, a luglio, anche ventimila persone a Maiorca. “Vogliamo misure concrete per limitare e diminuire il numero di turisti in arrivo e migliorare il benessere della popolazione locale", ha denunciato Pere Joan Feminia, portavoce della piattaforma Meno turismo, più vita, tra i promotori della manifestazione.
Ad aprile erano stati i cittadini delle isole Canarie a protestare contro il turismo di massa, chiedendo “un ripensamento dell'industria turistica dell'arcipelago spagnolo e un congelamento delle presenze turistiche”. L’idea è che l’attuale modello – con un flusso annuo di 13,9 milioni di persone su isole stabilmente abitate da una popolazione di 2,2 milioni di abitanti – sia, testualmente, “insostenibile”, per gli abitanti e l'ambiente. Eloquente lo slogan "Canarias tiene un límite".
In Grecia, Santorini scoppia. Letteralmente. E sull'isola di Paros i residenti hanno dovuto ricorrere allo sciopero degli asciugamani, reclamando un posto in spiagge libere completamente invase dai turisti. Nella nostra Capri, dove il mare è - per paradosso - una chimera a chi non voglia metter mano al portafogli, il problema non si pone proprio. Per tacere della Thailandia: la spiaggia di Maya Bay, resa celebre tra l'altro dal film "The Beach", assiste a una processione laica di turisti smartphone-muniti. Quanto basta per indurre a chiuderla al pubblico quattro mesi all'anno, anche per favorire un riequilibrio della sua biodiversità, altrimenti fatalmente impattata dall'orda ininterrotta dei turisti.
Ancora: l’anno scorso Amsterdam aveva lanciato una campagna di contro-promozione turistica, invitando – con il claim “Stay Away” - i turisti intenzionati a fare confusione a restare alla larga dalla città.
E se proprio volete avere le idee ancor più chiare, osservate i progetti di Natacha de Mahieu, una fotografa belga che con i suoi scatti, apprezzati e pluripremiati, ama mettere in discussione il modo in cui viaggiamo e le ragioni che ci spingono a scegliere luoghi specifici. Con un lavoro in particolare, “Theatre of Authenticity”, parte dai posti più geotaggati sul pianeta e cattura quel che succede in un’ora e mezza. L'obiettivo? Denunciare, per dirla con parole sue, la mentalità massimalistica di una società sempre più consumistica.
Comunità sull’orlo di una crisi di nervi
Non v’è dubbio che la sfida sia epocale, e improcrastinabile. C’è chi, allora, ha provato a rimediare. Ponendo un freno alla crescita dei fittacamere per periodi brevi, soluzioni che sottraggono immobili ai residenti storici delle città d'arte, o optando per un ticket di ingresso nei periodi più caldi dell'anno, come avvenuto - con risultati sin qui non soddisfacenti - a Venezia. Ancora: su diverse spiagge della Sardegna o si è optato per il numero chiuso, come sulla Via dell'Amore, uno dei sentieri delle Cinque Terre: bisogna prenotare e, in alcuni casi, pagare, soluzione estrema per proteggere paradisi fragili dall’assalto dei bagnanti.
E così via, con idee spesso scoordinate e in taluni casi strampalate o acchiappa-like (come nel caso dei semafori per i selfie), spesso senza un efficace ripensamento del sistema turismo, nel suo complesso. Un'analisi che ci impone di riflettere - senza pregiudizi, come per esempio in questo interessante articolo - sull'equilibrio tra domande e offerta, sull'idea stessa del viaggio nell'era dei social, sulla necessità di ripensare mete e destinazioni come luoghi dell'abitare, innanzitutto, e infine sull'urgenza di un'educazione, anzitutto civica e culturale, all'esplorazione del mondo. Che, per sua stessa definizione, ci rende in qualche modo turisti, potenziali portatori di ricchezza a una comunità altra, eppure potenzialmente in grado - con la nostra stessa presenza - di arrecarvi un disturbo.
Turista a chi?
Più interessante, allora, il caso di chi ha studiato una serie di premialità per i turisti virtuosi, che si allontanino dalle logiche di un turismo distratto, superficiale, predatorio.
Quello dell'orda ferragostana di queste ore, per intenderci, così ben sintetizzato dagli scatti di spiagge gremite e piazza sovraffollate, da Capri alle Cinque Terre, dalla Costiera amalfitana alla Costa Smeralda.
Prendete Copenaghen, per esempio: ha deciso di offrire piccoli benefit, in primis l'ingresso gratuito ad alcune attrazioni, ai visitatori che mostrano modelli di comportamento sostenibili, muovendosi in bici o in treno, facendo una corretta raccolta di rifiuti, contribuendo a tenere pulite spiagge e marciapiedi.
Non è forse questo un format in grado di indicare la strada giusta, contemperando il legittimo desiderio di viaggiare - che accomuna noi tutti, quando prendiamo un aereo, un treno o una nave, spesso peraltro costretti a farlo (agosto docet) tutti insieme, poco appassionatamente, nello stesso periodo, proprio come a Ferragosto - con l'irrinunciabile diritto alla vivibilità che, viceversa, fatalmente reclamiano quando viviamo i nostri luoghi?
[La foto di apertura è del progetto Theatre of Authenticity | Natacha de Mahieu]
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Da martedì 13 agosto il numero 2 di Grand Tour è in tutte le edicole di Napoli e delle isole del golfo