Ode alla radio, il "teatro della mente": ecco perché resiste a tutte le innovazioni tecnologiche
Nella giornata che la celebra, raccontiamo l'epopea del primo, vero mezzo di comunicazione di massa. In grado di reinventarsi, sopravvivendo alla concorrenza con la sua capacità di esaltare suoni e parole
"È un miracolo, la radio. Grazie ad essa, possiamo sederci presso un lago remoto o sulla cima di una montagna e ascoltare la musica diffusa da un lontano centro culturale. Non si può descrivere a parole quanto meravigliosa sia quest'esperienza, che collega le più belle manifestazioni dell'arte con le più belle della natura".
Disse così, Leopold Antoni Stanisław Bolesławowicz Stokowski, direttore d'orchestra, celebrando a metà del secolo scorso l'affermarsi, sempre più incontrastato, di quel medium di comunicazione di massa che ci avrebbe profondamente cambiati. E che resiste, oggi, nell'era dei social e degli smartphone, cambiando pelle - certo - ma mostrando una insospettabile resilienza: bastano, del resto, la voce e il desiderio di raccontare. Che sia un flusso continuo, come quello delle emittenti radiofoniche, o una serie podcast: l'importante è mettersi all'ascolto. Una rivincita (potenziale) della parola nell'era della grande distrazione collettiva.
Ha scritto il celebre sociologo canadese Marshall McLuhan:
La radio tocca intimamente, personalmente, quasi tutti in quanto presenta un mondo di comunicazioni sottintese tra l’insieme scrittore-speaker e l’ascoltatore. Il suo aspetto è proprio questo: è un’esperienza privata. Le sue profondità subliminali sono cariche degli echi risonanti di corni tribali e di antichi tamburi. Ciò è insito nella natura stessa del medium, per il suo potere di trasformare la psiche e la società in un’unica stanza degli echi
Proprio oggi il mondo celebra oggi la Giornata mondiale della radio: il 13 febbraio del 1946 andò in onda la prima trasmissione radiofonica dell’Onu. Dal 2012, proprio le Nazioni Unite hanno istituito il World Radio Day. C'è, nella storia del medium, molto di italiano: il 5 marzo del 1896 il fisico Guglielmo Marconi brevettò la radio per la prima volta, nel 1907 il segnale arrivò Oltreoceano. Un miracolo, o quasi: due anni dopo, Marconi vinse il Nobel, la storia delle comunicazioni era già cambiata.
La storia della radio in Italia ha una data di nascita certificata: il 27 agosto 1924 nasce l’Unione Radiofonica Italiana (Uri), dal 6 ottobre inizia a trasmettere. Cosa? Teatro, notizie, conversazioni, concerti, secondo quanto disposto - udite udite - da un regio decreto. Qualche anno dopo, nel 1927, l'Uri diventa Eiar e lo Stato le affida in concessione esclusiva le trasmissioni radiofoniche. Così sarà fino al 1974, con la radiodiffusione esclusivo appannaggio dello Stato. La rivoluzione nel 1974: anche i privati possono trasmettere localmente via cavo: è il via libera al proliferare di radio private, una rivoluzione di usi e costumi.
Perché la radio è riuscita a sopravvivere anche all'epopea della televisione, benché in molti ne avessero prematuramente - e incautamente - preconizzato la fine. Forse sottovalutando la forza evocativa, espressiva e puntuale del mezzo, qualcosa di altro rispetto alla predominanza dell'immagine, che è invece fatalmente e intrinsecamente connaturata alla sua potenziale concorrente.
La televisione - ha scritto Fabrizio Caramagna - è come una moglie invadente che ti impone di stare seduto, mentre la radio è un amico che ti lascia la libertà di muoverti da un ambiente all’altro, pensando ad altre cose e viaggiando con l’immaginazione.
Sta sopravvivendo, la radio, anche a Internet. Reinventandosi, per l'appunto: di qui il successo straordinario dei podcast, strumenti sempre più usati per raccontare storie, approfondire argomenti culturali e politici, intrattenere il pubblico. Chiedendogli attenzione, restituendo - il più delle volte - approfondimento.
Lunga vita, dunque, alla radio: anche se l'involucro cambia, evolvendosi, il suo concept resta indubbiamente attuale.