Nuove scoperte dall’età del rame in Italia settentrionale
Uno studio dell’Università di Padova fa luce su luoghi e lavorazione del rame in Italia nel IV e III millennio.
Che l’area di estrazione del rame dell’ascia di Ötzi - l’Uomo del Similaun rinvenuto il 19 settembre 1991 sulle Alpi Venoste - fosse la Toscana meridionale, era un dato già acquisito da precedenti indagini.
Adesso un nuovo studio, condotto da ricercatori dell’Università di Padova in collaborazione con il Museo Archeologico dell’Alto Adige, chiarisce come la produzione di rame in età preistorica, fosse legata ad aree molto ben definite a seconda del periodo. Tra la fine del V e l'inizio del IV millennio non c'era produzione di rame in Italia e tutti gli oggetti rinvenuti, contenenti questo metallo, provengono dai Balcani. A partire dal 3500-3600 a.C si assiste invece ad un’esplosione della produzione di rame in Toscana. Sulle Alpi, e in particolare nelle Alpi Sud-Orientali, la produzione di rame inizia solo dopo il 2800 a.C. per espandersi poi progressivamente e raggiungere una massiccia produzione nella seconda parte del III millennio a.C. La produzione Alpina poi continuerà estesamente nella successiva Età del bronzo.
"Con questo studio otteniamo un quadro completo dell'estrazione e della diffusione del rame nell'arco alpino meridionale, nell'Italia settentrionale e centrale - commenta Günther Kaufmann, archeologo e responsabile del progetto presso il Museo Archeologico dell'Alto Adige -. I risultati ci permettono di comprendere da dove le persone della zona sud alpina ottenevano il rame più antico, quali estese vie commerciali percorressero, e da quando la popolazione alpina iniziò a estrarre il minerale di rame locale. Come è noto, la materia prima per la lama di rame di Ötzi proviene dalla Toscana meridionale. I risultati scientifici del nostro gruppo di ricerca del 2016, che hanno inizialmente sorpreso la comunità archeologica, ora sono stati ampiamente confermati: alla fine del IV millennio a.C., epoca in cui è vissuto Ötzi, il rame utilizzato nell'Italia del Nord proveniva dall'Italia centrale e veniva esportato fino alle regioni alpine meridionali e settentrionali. Solo alcuni secoli dopo l'Uomo venuto dal ghiaccio, si sviluppò l’estrazione del rame dai giacimenti delle Alpi meridionali".
Lo studio, intitolato Lead isotopes of prehistoric copper tools define metallurgical phases in Late Neolithic and Eneolithic Italy e pubblicato sulla rivista Scientific Reports, ha condotto analisi isotopiche e chimiche su oltre 50 oggetti messi a disposizione da numerosi musei italiani e austriaci.
"Il punto di forza del progetto è stato quello di selezionare un buon numero di reperti di grande importanza archeologica - spiega Gilberto Artioli, professore ordinario del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e primo autore dello studio -. Prevalentemente sono asce, ma abbiamo anche oggetti di piccole dimensioni come lesine e oggetti riferibili ad una fase cronologica in cui il rame era ancora decisamente un materiale di pregio e anche piuttosto raro. Le analisi isotopiche delle tracce di piombo contenuto nei reperti in metallo, abbinate a quelle delle impurezze chimiche del rame, hanno dimostrato come con un buon database di riferimento si possano ricostruire in modo affidabile le provenienze degli oggetti. Con questo lavoro abbiamo rivoluzionato il modello della metallurgia del rame nel Neolitico finale e nell'Età del rame e siamo riusciti a rispondere a molte domande sulle fasi di diffusione e di provenienza di questo metallo in epoca preistorica in Italia".
Ogni giacimento di rame ha un'età geologica di mineralizzazione ben precisa. I rapporti isotopici del piombo sono riferiti all’età del deposito. Durante il processo metallurgico, cioè l'estrazione del rame dai minerali e l'incorporazione del metallo negli oggetti, il segnale isotopico rimane invariato. Analizzando quindi le tracce di piombo che sono contenute nel rame dell'oggetto, i ricercatori sono stati in grado di risalire allo stesso segnale che esiste nel deposito geologico di provenienza.
Inoltre, unendo le informazioni isotopiche e quelle chimiche, nella maggior parte dei casi di depositi coevi si risolve qualsiasi ambiguità nella provenienza del materiale mediante i traccianti geochimici.
Un elemento di complessità è l’attribuzione degli oggetti ad una cronologia precisa, soprattutto quando i manufatti non provengono da scavi stratigrafici recenti e la datazione viene fatta solamente su base tipologica, a volte dibattuta.
"È molto difficile quando non conosciamo il contesto di ritrovamento – dice la prof.ssa Ivana Angelini del Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova e co-autrice dello studio -. Per alcuni degli oggetti studiati è stato però possibile avvalersi di datazioni assolute con il radiocarbonio riferite ai materiali trovati in contesto, per esempio le ossa presenti nelle tombe dove i metalli sono stati trovati. Questo ha permesso di sequenziare, da un punto di vista cronologico, alcuni degli oggetti analizzati".