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La fede che si fa carne e dolore: i riti settennali di Guardia Sanframondi
Foto Antonello De Rosa

La fede che si fa carne e dolore: i riti settennali di Guardia Sanframondi

Tra i battenti e i flagellanti, dove ogni colpo inferto è un atto di fede: siamo stati nel cuore del Sannio, per cogliere il senso di una tradizione ultrasecolare. Che si rinnova, senza conoscere crisi. Proviamo a capire perché

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Testo e foto di Antonello De Rosa

Avvolte nei bianchi sai e celati sotto cappucci, centinaia di persone avanzano lentamente per le antiche strade di Guardia Sanframondi. Il silenzio che avvolge il borgo è infranto dai canti di anziane signore e dal rumore, sordo e incessante, dei colpi sulla pelle. Con spugne di sughero irte di spilli, i battenti percuotono il proprio petto, lasciando che il sangue scorra a fiotti, un’offerta sacra alla Vergine Maria. Ogni colpo inferto è un atto di fede: le gocce di sangue costellano il candore delle vesti, mentre i crocifissi e le immagini dell’Assunta portati tra le mani completano il quadro di una devozione profonda e viscerale.
Anche il vino bianco del Sannio, la Falanghina DOC, vera linfa di queste colline, scorre a fiotti, bagnando le spugne che disinfettano e mantengono aperte le ferite. Questo vino, simbolo di un legame profondo con la terra, si unisce al corpo dei battenti attraverso le ferite suggellando una comunione sacra e ancestrale che unisce, ancora di più, corpo e territorio.  "Riti così unici e rari rappresentano anche un’occasione per riunire la comunità di Guardia Sanframondi e i suoi figli sparsi nel mondo, che in questa occasione rispondono al richiamo di un rituale ancestrale e viscerale”, conferma il sindaco, Raffaele Di Leonardo.
Domenica 26 agosto sono almeno quattromila i figuranti che prendono parte alla processione generale dei Riti Settennali di Penitenza di Guardia Sanframondi in onore dell’Assunta. Centinaia i quadri dei misteri che rievocano gli episodi più importanti della Bibbia. Ma le decine di migliaia di persone che si sono inerpicate di buon ora sulle colline del Sannio per assistere all’unicità di questo rito sono tutti per loro: i battenti e i flagellanti. Assistere di persona al sacrificio del sangue è un'occasione unica. Per chi crede, per chi vuole capire.

Sentirsi parte di una comunità

Negli occhi dei battenti, celati sotto il cappuccio bianco, traspare, per chi sa guardare oltre, un barlume di orgoglio e sorpresa. Un'emozione che si manifesta solo durante la processione, quando i partecipanti - percorrendo le vie del borgo - realizzano la portata straordinaria di ciò che stanno vivendo. È in quel momento, tra i colpi sordi delle spugne e i passi lenti della processione, che si percepisce la consapevolezza dei battenti: essere parte di qualcosa di unico e irripetibile. 
Molto più di un semplice atto di penitenza, come conferma don Giustino Di Santo, il parroco di Guardia Sanframondi: "Il protagonista dei Riti Settennali non è il singolo partecipante, ma è la fede di un intero popolo". Ogni gesto, ogni ferita, è parte di un rito collettivo che trascende l'individuo e diventa espressione di una comunità intera, aggiunge. Il dolore, quindi, non è visto come punizione, ma come un mezzo di connessione spirituale. Un linguaggio arcaico che parla direttamente al cuore.
Il sacrificio personale, inizialmente percepito come un atto di penitenza individuale, si trasforma così in un’esperienza collettiva che unisce i figuranti in un legame indissolubile con la comunità e con una tradizione che attraversa i secoli. Il dolore si trasfigura, e l’orgoglio di partecipare a un rito tanto antico quanto significativo emerge, quasi inaspettato: lo si intravede nella luce che abbaglia i loro sguardi dietro il velo dell'anonimato.


Una tradizione antichissima

Foto Antonello De Rosa

Le origini dei riti risalgono a tempi remoti, anche se non è possibile stabilire una data precisa. Si tratta di tradizioni che affondano le loro radici nella cultura contadina e religiosa del Sannio, area storicamente dedita all’agricoltura e alla viticoltura. Anche i 7 anni di distanza da una processione all’altra richiamano un ciclo che, simbolicamente, rappresenta un periodo di rinnovamento e purificazione.  La loro celebrazione inizia nel XVII secolo, quando un'epidemia di peste colpisce la regione e la popolazione di Guardia Sanframondi invocò la protezione della Vergine Maria, promettendo di rinnovare ogni sette anni - numero sacro - la loro devozione con questi riti penitenziali. Da allora, la comunità ha mantenuto viva questa promessa, rafforzando il legame con la propria fede e le proprie radici culturali.

Quando il sacro si vive sulla pelle

Foto Antonello De Rosa


L'antropologo Marino Niola parla di un potente esempio di "fede che si fa carne", un evento dove la spiritualità e la fisicità si fondono in un rito spettacolare, certo, ma anche profondamente intimo. "È un rituale che mette in scena la sofferenza come mezzo di purificazione, un sacrificio che avvicina l'umano al divino" osserva Niola, evidenziando come la partecipazione a questi riti rappresenti un modo per rinnovare il legame con la propria identità culturale e spirituale. Il borgo stesso sembra partecipare al rito, con le sue strade strette e le sue piazze che diventano luoghi di raccoglimento e riflessione. I canti sacri, le processioni solenni e il silenzio reverenziale che avvolge ogni gesto creano un’atmosfera carica di spiritualità, un momento in cui il tempo sembra fermarsi, e il passato, il presente e il futuro si intrecciano in un’unica, potente espressione di fede. Un’immersione profonda in un mondo dove la fede non è solo credenza, ma azione, dove il sacro si vive sulla pelle, e dove ogni colpo, ogni passo, ogni preghiera è un atto di amore e devozione che lascia un segno indelebile. Per chi cerca non solo di vedere, ma di sentire, di capire, di connettersi con le radici più profonde della cultura italiana, questi riti rappresentano un appuntamento imprescindibile.
Ora, con i titoli di coda che scorrono sull'evento, il borgo torna alla sua tranquillità di sempre, restando carico di un’energia strabordante. "Del resto, ogni rito è come un labirinto: si entra in un modo e si esce in un altro", spiega il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Ed è questo l’augurio di chi ha partecipato, da spettatore o protagonista, a qualcosa di unico e irripetibile.

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