Non inquiniamo solo il pianeta: 50 mila detriti orbitano nello Spazio. Che fine faranno?
Il progetto Stem4Sud ha portato all’università di Napoli Federico II lo scienziato Moriba K. Jah, guru dell’astrofisica. Noi c'eravamo. E vi raccontiamo perché la protezione ambientale nello spazio deve essere una delle nostre priorità
«Gli uomini stanno prendendo delle scelte che potrebbero portare all’auto estinzione. Ogni giorno madre terra ci invia segnali per evidenziare il nostro stile di vita poco sostenibile, per invitarci al cambiamento, ma siamo sordi al suo grido, perché abbiamo dimenticato di essere i suoi custodi». Inizia così il discorso di Moriba K. Jah, ingegnere aerospaziale, scienziato e docente presso l'universita del Texas, ospite dell’Università Federico II nell'ambito del progetto Stem4Sud, nato per avvicinare i bambini ed i giovani alle materie Stem e colmare il divario tra il Sud dell’Italia e il resto del mondo, organizza l’evento per discutere di sostenibilità e protezione ambientale nello spazio.
Il nostro stile di vita poco sostenibile potrebbe causare il collasso del pianeta. Ma il nostro pessimo operato non si ferma al suolo terrestre: anzi, va ben oltre. Zoomando di circa 70.000 chilometri dal nostro pianeta, possiamo vedere la maestosità di un altro luogo che stiamo inquinando: l’ambiente spaziale.
Per comprendere le conseguenze di questo fenomeno, bisogna, però, partire da una premessa: lo scambio di informazioni, la navigazione su internet, la programmazione, le transazioni finanziarie, insomma, la comunicazione come viene concepita oggi, è possibile solo grazie al lavoro dei satelliti artificiali che orbitano nello spazio.
In questo momento storico, lo spazio è pieno di elementi orbitanti definiti detriti spaziali. Da quando venne lanciato lo Sputnik, il primo satellite artificiale della storia, in orbita dal 1957, ad oggi, ci sono più di 50.000 oggetti orbitanti nello spazio, di cui il più piccolo ha la dimensione di un telefono cellulare, mentre il più grande di una stazione spaziale.
Ma come è stato possibile raggiungere un numero così elevato? I satelliti che vengono lanciati in orbita hanno un ciclo di vita esattamente uguale a quello delle plastiche monouso. La plastica, infatti, pur essendo molto utile è altamente inquinante, in quanto solo il 9% di tutte le plastiche è riciclabile.
Questo è ciò che succede anche nel caso dei satelliti: ogni satellite lanciato in orbita, una volta terminata la sua missione, diventa scarto; tuttavia, continua a rimanere nello spazio. La sua permanenza può variare dai cinque anni, ad intere decadi, o addirittura per sempre.
Allo spegnimento di un satellite corrisponde il lancio di un altro e di conseguenza le “astro strade” stanno diventando sempre più congestionate.
Ad oggi, soltanto 10.000 degli oggetti orbitanti sono attivi, il resto sono considerati di scarto e di questi 10.000, 7.000 appartengono ad Elon Musk. Ovviamente anche gli altri Paesi possiedono satelliti e non esiste un ufficio di coordinazione del traffico spaziale. Questo flusso disordinato e continuo rappresenta un grave problema: in effetti se la risorsa spazio risultasse un giorno inagibile a causa dei troppi rifiuti orbitanti, l’uomo non avrebbe più la possibilità di comunicare dati satellitari, causando la fine delle comunicazioni come le concepiamo oggi. È bene specificare, inoltre, che il 99 % di tutti i detriti spaziali è causato solo da tre superpotenze mondiali: Stati Uniti, Cina e Russia; tuttavia nessuno dei tre si sta impegnando nel ripulire lo spazio.
Ciò cosa comporta? E soprattutto, che cosa succede a tutti questi oggetti di scarto in orbita? I detriti purtroppo non sono innocui, anzi. In primis, bisogna sottolineare che si muovono ad una velocità di 15 chilometri al secondo e quando due si scontrano, l’alta velocità causa l’esplosione dei detriti stessi che si suddividono, a loro volta, in parti ancora più piccole. Quest'ultime non sono neppure registrate, in quanto le ridotte dimensioni lo impediscono anche ai database più innovativi come Wayfinder; un’altra conseguenza è che i detriti riflettono la luce spaziale. Dunque, gli astronomi per osservare un fenomeno devono sperare di riuscire a superare i riflessi che altrimenti rischiano di impedire la vista.
Jah: «Aumentare la consapevolezza del problema»
«La mia esperienza e la mia vita mi hanno insegnato a comprendere che le crisi esistono e molto spesso non possiamo sfuggirne. - racconta Jah - Tuttavia la mia permanenza a Maui, dove ho lavorato per la Nasa, mi ha permesso di condividere la mia esperienza con gli indigeni. Il loro essere parte della natura, custodi, mi ha permesso di capire che spesso non possiamo cambiare le cose, ma possiamo prendere delle scelte consapevoli per migliorarle. Oggi - prosegue - sono qui perché voglio aumentare la consapevolezza di questo problema e dirvi che la terra è un sistema fatto di sistemi, tutto risulta interconnesso. Dobbiamo sviluppare il vero potere di prendere scelte autonome e consapevoli, non affidandole a chi ci governa ma rendendole positive per le future generazione».
Il miglior modo per essere sostenibili nello spazio, secondo Jah, è - dunque - cambiare l'approccio con cui lo usiamo. Il modello attuale di corsa e conquista non rende lo spazio una risorsa economica ma palcoscenico di contesa di potere e potenziali ricchezze. La soluzione? Da un'economia lineare dello spazio, dove a regnare è la mentalità usa e getta, bisognerebbe spostarsi verso un’economia circolare, utilizzando satelliti "green", e dunque riutilizzabili e riciclabili, e finanziando la pulizia dello spazio già inquinato.