La scoperta: gatti e volpi nel menu dei nostri avi
La Tel Aviv University ha indagato la dieta del tardo Epi-Paleolitico: gli animali non erano cacciati solo per le loro pellicce
Lo sappiamo, non vi piace immaginarlo. Eppure le volpi e i gatti hanno rappresentato una preziosa risorsa alimentare per le comunità umane del tardo Epi-Paleolitico, vissute tra 15 mila e 11 mila e settecento anni fa. Lo dimostra un recente studio condotto dalla Tel Aviv University e guidato dall’archeologo Shirald Galmor del Dipartimento di Archeologia e Cultura dell’Oriente Antico. La ricerca ribalta completamente l’idea che questi animali fossero cacciati esclusivamente per la loro pelliccia.
Una ricerca che abbraccia quattro Paesi
Il gruppo di ricerca ha analizzato, in particolare, i resti archeologici in un’area che comprende attualmente territori in Israele, Libano, Giordania e Siria, focalizzando i loro studi sulle comunità di cacciatori dell'Epi-paleolitico.
Questo periodo è stato cruciale per la storia dell’umanità, soprattutto per la transizione verso l’allevamento e l’agricoltura, con gli esseri umani che modificarono gradualmente le proprie abitudini alimentari e di caccia. Se prima, infatti, prediligevano animali di grandi dimensioni, come i cervi, nel tempo la loro attenzione si spostò verso specie più piccole, come gazzelle, uccelli e pesci, come hanno dimostrato le ossa di animali rinvenute in altri insediamenti.
Non solo gazzelle: l’importanza di volpi e gatti selvatici
La loro dieta, tuttavia, era molto più varia, come hanno dimostrato i reperti raccolti dal sito archeologico di Ahihud, che si trova nella Galilea Occidentale. Qui gli studiosi diretti da Galmor hanno trovato ossa di volpi rosse in quantità superiore rispetto alla selvaggina di dimensioni più grandi, oltre ai resti di gatti selvatici.
Per analizzare i reperti hanno rimosso il calcare dalle ossa utilizzando l’acido acetico, le hanno lavate e poi osservate al microscopio. Questo metodo ha permesso di identificare le specie di appartenenza, tra cui volpi, gatti selvatici e lepri del Capo, e di classificare ogni campione in base alla tipologia ossea.
In totale, sono state scoperte 1.244 ossa frammentate. Di queste, circa il 30% proveniva da gazzelle di montagna, il 12% da volpi rosse e il 16% da piccoli carnivori come tassi europei, manguste egiziane, faine e altri mustelidi.
Segni di macellazione: più che semplici pellicce
Cosa hanno allora scoperto? Che molte ossa mostravano segni evidenti di lavorazione: smembramento, filettatura e macellazione con utensili. «Più del 52% dei segni di taglio sui resti di volpi può essere attribuito direttamente all’attività di macellazione, principalmente su omero e femore», hanno scritto i ricercatori.
Questi segni non derivano dall’attività di scuoiamento. Anche i resti di gatti selvatici hanno mostrato un’alta percentuale di segni di macellazione (83%), localizzati principalmente sulle ossa delle zampe. Gli altri segni erano invece legati allo scuoiamento. Inoltre, su molte ossa erano presenti bruciature, confermando che questi animali venivano cotti e consumati.
Volpi e gatti nella dieta umana
I risultati hanno dimostrato che volpi e gatti selvatici non erano solo una fonte di pellicce, ma anche una componente regolare della dieta umana. Questo porta i ricercatori a suggerire che i piccoli carnivori debbano essere considerati animali da caccia negli studi sull’economia animale delle società neolitiche.
«Il nostro studio fornisce prove chiare e forti che gli abitanti di Ahihud cacciavano piccoli carnivori per sfruttare ampiamente i loro resti», affermano i ricercatori. «Non solo scuoiavano le loro pelli ed estraevano la carne per il cibo, ma utilizzavano i resti per creare utensili in osso e ornamenti», concludono.