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Giornata nazionale del dialetto, così l'Italia riscopre la ricchezza delle parole
Foto Sofia Scuotto - Soggiorno Napoletano

Giornata nazionale del dialetto, così l'Italia riscopre la ricchezza delle parole

Il 17 gennaio si celebrano dialetti e lingue locali: oggi, complici musica e cinema, il loro stato di salute nel nostro Paese è insospettabilmente buono. Perché ci aiutano a comunicare, soprattutto le emozioni

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by Pasquale Raicaldo


Resistono, strenuamente, nell'era della globalizzazione (anche linguistica). Roccaforti di identità storica, sociale e culturale dell'Italia dei campanili, i dialetti non sono in declino: continuano a veicolare emozioni e saperi a chilometro zero, custoditi con cura dalle comunità di parlanti che, soprattutto al Sud, sono in grado di riconoscere loro le potenzialità, come fossero attrezzi da adoperare all'occorrenza, utili - se non addirittura necessari - ad ampliare le potenzialità espressive di chi li maneggia con cura.
Per celebrare e valorizzare la ricchezza linguistica e culturale rappresentata dai dialetti e dalle lingue locali è stata istituita dall'Unione nazionale delle pro loco (Unpli) nel 2013 la Giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali che si celebra ogni anno il 17 gennaio. Un'idea nata per promuovere iniziative che contribuiscano alla salvaguardia delle lingue minoritarie e dialettali, alcune delle quali - certo - sono a rischio di estinzione e anche a sensibilizzare le nuove generazioni sull'importanza di conoscere e praticare le lingue locali come mezzo per preservare la memoria storica e culturale.
Del resto, chi ha smesso di usare il dialetto - ha sentenziato lo scrittore Erri De Luca - è uno che "ha rinunciato a un grado di intimità col proprio mondo e ha stabilito distanze". "Molta parte dell'anima nostra è dialetto" ha scritto in tempi non sospetti Benedetto Croce
Così, con lo stigma che ha accompagnato per decenni il suo utilizzo è fortunatamente evaporato, letteratura, musica, cinema e - soprattutto - serialità televisiva hanno, negli ultimi anni, ridato linfa e diffusione alle varietà dialettali italiani, napoletano e siciliano in primis. La stessa grafia delle parole dialettali è tornata a diventare argomento di dibattito pubblico, come testimoniano le polemiche legate all'ultima partecipazione al Festival di Sanremo da parte del rapper napoletano Geolier.

Se Topolino parla il napoletano


Chi, per esempio, ha intelligentemente colto l'occasione è il fumetto per eccellenza, Topolino, che celebra i dialetti nel numero in edicola questa
settimana con cinque versioni alternative della storia "Zio Paperone e il PdP 6000", scritta da Niccolò Testi per i disegni di Alessandro Perina, e tradotta in napoletano, catanese, fiorentino e milanese. Un esempio? Paperon de' Paeroni si rivolge all'inventore per antonomasia così: "Assafà, Archimè! Nun berevo ll'ora!". Oppure: "Finammenti! Sta cosa cci vuleva appiddaveru Acchimedi!". E ancora: "L'era L'ora Archimede! L'è propio icchè ci volea!". Infine: "L'era ora! Propi
quell che ghe voreva, Archimede!".
Un'operazione per la quale Panini si è avvalsa della collaborazione di Riccardo Regis, professore ordinario di Linguistica italiana dell'Università degli Studi di
Torino, esperto di dialettologia italiana, che ha coordinato un team di linguisti. "Un'ottima occasione - spiega all'agenzia Dire - per ricordarci quale immenso patrimonio culturale e storico rappresentino le centinaia di idiomi che attraversano la nostra penisola da nord a sud e da levante a ponente. Testimonianze vive di un'eredità storica quanto mai ricca e preziosa".
A confermare lo stato di salute dei dialetti è stata anche la dodicesima edizione del concorso letterario "Salva la tua lingua locale", promossa da Unpli insieme ad Ali (Autonomie locali italiane): tra i vincitori un dizionario con i gallicismi siciliani, saggi in ladino di Fassa e in astigiano, poesie in bisiàc e in romagnolo, una tesi di laurea sul dialetto genovese, opere in dialetto sammarchese, venosino e grico, una canzone in friulano e un lavoro teatrale in dialetto napoletano.
"In un mondo sempre più globalizzato - ha commentato Antonino La Spina, presidente Unpli - ogni lingua rappresenta un patrimonio immateriale che custodisce l'identità, la storia e le tradizioni di un popolo, come sottolineato anche dall'Unesco".

Quando usiamo il dialetto?


Ma qualcosa, scavando a fondo, sta cambiando. Inevitabilmente, Secondo l'Istat, per esempio, è l'uso esclusivo del dialetto che continua a diminuire: la quota di chi parla prevalentemente il dialetto in famiglia si era già dimezzata tra 1988 e 2006 (dal 32% al 16%) e nel 2015 cala ancora leggermente, attestandosi al 14%.
Ma non è, questo, un dato sconfortante, anzi. Vuol dire che una percentuale sempre più significativa degli italiani padroneggia la lingua madre, riservando semmai ai termini e alle espressioni dialettali spazi espressivi limitati, ma non per questo meno significativi.
"Un motto di molti parlanti nell’Italia contemporanea sembra essere: ora che sappiamo parlare ita­liano, possiamo anche (ri)parlare dialetto", spiega il sociolinguista Gaetano Berruto. E non v'è dubbio, sottolinea Giuseppe Antonelli, che il "dialetto rappresenta sempre di più una risorsa intercambiabile con l’ita­liano, secondo i modi – frequentissimi nel parlato informale – della commutazione di codice (o code switching, il passaggio da una lingua all’altra all’interno dello stesso discorso) e dell’enunciazione mistilingue (o code mixing: l’inserimento di paro­le dialettali in un discorso in italiano o viceversa)".
In effetti l'uso misto di italiano e dialetto in famiglia - come attesta l'ultimo rapporto Istat sull'uso della lingua italiana e dei dialetti - è cresciuto nel tempo, passando tra il 1988 e il 2006 dal 24,9% al 32,5%, per poi stabilizzarsi intorno al 32% nel 2015. Lo stesso trend si riscontra nel contesto amicale (dal 27,1% del 1988 al 32,1% del 2015). Diversamente, con gli estranei, anche in alternanza con l'italiano, l'uso del dialetto continua a diminuire (dal 20,3% del 1988 al 12,9% del 2015): il dialetto continua dunque a essere riconosciuto come uno strumento che esprime vicinanza e familiarità.

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Napoli -foto di Prakriti Khajuria


Quanto all'uso prevalente o esclusivo dell'italiano è più diffuso nel Nord-ovest e al Centro per tutti i contesti relazionali. In particolare, in famiglia parla prevalentemente italiano il 61,3% delle persone residenti al Nord-ovest e il 60% dei residenti al Centro, rispetto al 27,3% delle persone che vivono al Sud e al 32,9% di quelle residenti nelle Isole. Le regioni in cui questa abitudine è più diffusa sono la Toscana (74,9%), la Liguria (70,1%), la Lombardia (59,8%) e il Lazio (59,2%), quelle dove invece è minore sono la Campania (20,7%), la Calabria (25,3%) e la Sicilia (26,6%). Anche nei rapporti con gli estranei si riscontrano forti differenze territoriali: l'uso prevalente dell'italiano arriva al 90% nel Nord-ovest, sfiora l'85% al Centro, diversamente dal resto d'Italia dove al massimo raggiunge il 75%.

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