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Come le scarpe Nike hanno rivoluzionato l’immaginario globale

In libreria con il suo "I piedi del mondo", il filosofo e scrittore Tommaso Ariemma spiega a GrandTour perché Heidegger, Kant e Bordieu aiutano a "leggere" il successo di uno dei più grandi brand di tutti i tempi. Anticipandoci un futuro potenzialmente distopico

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Come le scarpe Nike hanno rivoluzionato l’immaginario globale
Photo by wu yi / Unsplash

 

«Piacere, successo, spensieratezza: in una parola felicità. Molti nel corso dei secoli hanno cercato di dare risposte o consolazione a queste struggenti aspirazioni, e lo hanno fatto di solito con gli strumenti della filosofia o delle arti. Peccato che a riuscirci sia stato qualcosa di molto diverso: un oggetto, in particolare un paio di scarpe, quelle che la Nike ha commercializzato a partire dal 1964, dando il via non soltanto a una straordinaria vicenda d’impresa, ma anche a un’autentica rivoluzione culturale». Tommaso Ariemma si definisce un "pop filosofo": avvicina la disciplina al grande pubblico, con successo. In libreria con “I piedi del mondo”, edito da Luiss University Press: un saggio godibile e divulgativo nel quale racconta come le scarpe Nike hanno rivoluzionato l’immaginario globale. Per farlo cita - tra gli altri - Heidegger, Lévi-Strauss, Kant, Bourdieu e una lunga teoria di filosofi, in grado (anche) di aiutarci a leggere la complessità del presente. Docente di Estetica e Sociologia dell’arte presso l’Accademia delle Belle Arti di Lecce, Ariemma aveva già scritto “La filosofia spiegata con le serie tv” (2017), “Filosofia degli anni ’80” (2019), “Platone showrunner. Regole filosofiche per scrivere la serialità” (2022), “Dark media. Cultura visuale e nuovi media(2022), “Filosofia del gaming. Da Talete alla PlayStation” (2023).  

Professore, lei ricorre alla filosofia per decifrare la complessità del mondo. Perché?
«Leggere il presente con gli strumenti di una disciplina millenaria può essere illuminante. Con la pop filosofia è, addirittura, più semplice: si tratta infatti di lasciarsi "contagiare" dai prodotti della cultura di massa, fatta di serie tv, videogame, social network. Per analizzarla occorre abbandonare vecchi pregiudizi e andare a fondo, dandole l'attenzione che da sempre richiede. L'ho fatto in passato con le serie televisive, con i videogiochi e, in generale, con i nuovi media: ora lo faccio con le  scarpe Nike, quasi si trattasse simbolicamente di tornare con i piedi per terra, approfondendo l'epopea della scarpa più famosa della Storia, che molto ci dice su chi siamo e cosa siamo diventati, soprattutto negli ultimi decenni. Ci troviamo davanti a un "brand culturale", capace - vale a dire - di inglobare una visione del mondo».

man in black standing front of clear glass door panel with gray wooden frame
Photo by Thomas Serer / Unsplash


Dimmi cosa indossi e ti dirò chi sei.
«Da sempre i brand sono stati anche e soprattutto uno strumento per essere riconosciuti. Da ragazzino, le scarpe indicavano l'appartenenza a un determinato mondo, sempre più globale. Abbiamo indossato queste scarpe non tanto per imitare qualcuno, bensì per prendere parte ad un universo di significati. Le scarpe Nike, per dirla in altro modo, non sono semplicemente oggetti funzionali, ma prodotti estetici e simbolici. Come opere d’arte da esibire, che, nella loro storia, una storia di successo, si sono collocate a metà strada tra il lusso esclusivo e la produzione di massa, creando una tensione tra unicità percepita e accessibilità globale. Un vero e proprio paradosso che ha alimentato il loro potere simbolico. 
Ancora oggi indossare un paio di Nike significa esibire uno status, un’identità, una storia. La scarpa diventa quindi un oggetto comunicativo, parte integrante del sistema di segni con cui l’individuo si presenta al mondo».


Tre parole attraversano l'epopea Nike: vittoria, legata allo stesso nome del brand, aria e libertà. Qual è il loro senso?
«Innanzitutto noi riconosciamo attraverso queste tre parole l’universo simbolico statunitense. Gli Stati Uniti hanno fatto del dominio dell’aria il dominio per eccellenza, ma sono anche la nazione della libertà e della vittoria per antonomasia. Le Nike nascono come orgogliosamente americane (ancorate a un passato glorioso greco), anche se la loro origine rimanda al Giappone e alle celebri Onitsuka Tiger».
Quanto sono stati fondamentali i testimonial, Jordan in primis?
«Importanti, ma non determinanti. Nike è sempre stato, ed è sempre più, un marchio globale, libero, in grado di svincolarsi in ogni momento dagli atleti che l'hanno rappresentata».

Nike garden on building
Photo by Jerome / Unsplash


Perché Adidas non è riuscita a spodestare Nike?
«Difficile dirlo. Adidas ha veicolato un’idea più estrema con il suo claim “Impossible is nothing”, citando implicitamente Marx e la cultura del Sessantotto in molti spot: impossibile è solo ciò che altri ci hanno raccontato come tale. Con “Just do it”, invece, Nike ha veicolato un approccio più morbido alla vita, maggiormente inclusivo. E le Nike sono quasi subito andate ai piedi di tutti, non solo degli atleti».
Che visione ha dell’intelligenza artificiale? Potrebbe avere una relazione con le sneakers?
«Per lo più consideriamo le intelligenze artificiali - uso il plurale non a caso - come qualcosa di sospetto e potenzialmente inquietante, con un approccio apocalittico. Ma non dobbiamo sottovalutarne le potenzialità: oggi molte persone possono, per esempio, accedere a testi in lingue che non hanno mai imparato. Le tecnologie diventano sempre più popolari, agevolando la nostra vita. Le intelligenze artificiali rendono così più comode le tecnologie stesse, proprio come le sneakers hanno fatto con le scarpe. Ci renderanno anche vincenti? Troppo presto per dirlo».
Riccardo Cioffi

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